5 domande che uno psicologo ti chiede in prima seduta
Se stai leggendo questo articolo è perchè anche tu ti sarai chiesto ad un certo punto: “Se inizio un percorso psicologico, che domande mi verranno poste?”.
Quando si sta cercando di trovare il coraggio di andare dallo psicologo, è normale porsi delle domande su come funziona una seduta dallo psicologo.
Basta una piccola ricerca per trovare esempi di seduta psicologica, ma spesso si tratta di articoli tecnici, più rivolto a professionisti che stanno imparando il mestiere.
Probabilmente la televisione e i media hanno aiutato nell’immaginario di come uno psicologo generalmente lavori.
Non è difficile immaginarsi domande tra psicologo e paziente del tipo: “Che rapporto hai con tuo padre?” o “Cosa ti ha turbato da piccolo?”. Ma quanto queste domande sono davvero vicine alla realtà?
Lo abbiamo chiesto al Dott. Andres Rivera Garcia, uno degli psicologi del team di Psicodigitale, che ci ha aiutato a stilare una lista delle domande più frequenti che uno psicologo pone al paziente in prima seduta.
Infine gli abbiamo anche chiesto quale domanda gli viene posta spesso dai suoi clienti e ci ha risposto con un punto davvero interessante.
Domande prima seduta psicologo
Quali sono le domande che fa uno psicologo?
Quando si va dallo psicologo è normale che ci siano delle domande di rito che egli pone per conoscere, almeno nei colloqui preliminari, il quadro generale del paziente che chiede aiuto.
Non è un’intervista strutturata né esiste un protocollo univoco delle domande classiche da porre però possiamo riconoscerne alcune tra quelle più utilizzate che indubbiamente aiutano all’esplorazione del paziente:
Cosa porta il paziente dallo psicologo?
Da quanto tempo è in quello stato?
Perché proprio ora ha deciso di rivolgersi ad uno psicologo?
Perché il paziente ha scelto proprio lui/lei come psicologo/a?
Cosa sta cercando?
1. Cosa porta il paziente dallo psicologo?
Sembra una domanda banale ma così non è.
Infatti ci sono innumerevoli cause che portano un soggetto a chiedere aiuto: un sintomo (ad esempio attacchi di panico, depressione, agorafobia e via discorrendo), un problema relazionale (un divorzio, una situazione difficile con il proprio partner), una genuina voglia di conoscersi meglio.
C’è quindi almeno una causa che fa sì che il soggetto alzi la cornetta e prenoti la prima seduta.
2. Da quanto tempo è in quello stato?
Questa domanda è molto importante perché presuppone che ci sia un prima ed un dopo nella vita del soggetto.
Un primo momento in cui tutto sembrava andare più o meno bene nella sua vita ed un secondo momento in cui qualcosa è successo e tutto è improvvisamente precipitato, sono magari emersi i sintomi, la vita ha iniziato a prendere una brutta piega.
Riconoscere il momento in cui tutto ha preso avvio è estremamente importante in modo da poter puntare la lente di ingrandimento su questo punto di frattura tra il prima ed il dopo, iniziando così un primo abbozzo di lavoro terapeutico.
3. Perché proprio ora ha deciso di rivolgersi ad uno psicologo?
Questa domanda si lega particolarmente a quella precedente. Infatti è raro che qualcuno si rivolga ad un professionista nell’esatto momento in cui la propria vita inizia a cambiare.
Si tende per lo più a stringere i denti, a pensare che il tempo guarirà la ferita o porterà via la sofferenza.
Quando questo non accade si arriva ad un punto in cui la propria condizione non è più sostenibile e ci si rende conto di aver veramente bisogno di aiuto.
Questa sofferenza che eccede il limite tollerabile dal soggetto è importante perché aiuta lo psicologo ad evidenziare i punti salienti del particolare momento di vita del paziente, a riconoscere il suo limite e a confrontarsi con esso.
4. Perché il paziente ha scelto proprio lui/lei come psicologo/a?
Questa sembra una domanda strana ma forse, tra quelle attualmente elencate, è la più importante.
Se ci pensiamo bene tutti quanti hanno una qualche preferenza verso colui che si prenderà cura delle proprie questioni: lo voglio donna, uomo, moro, anziano, stravagante.
C’è comunque un particolare che spesso è ricercato dal paziente e che rende, per lo meno immaginariamente, un terapeuta preferibile ad un altro.
Potremmo dire che quel particolare significa qualcosa per il soggetto, rientra in ciò che si svilupperà nel transfert (che ricordiamo è uno dei dispositivi terapeutici più cruciali ai fini della cura) e riconoscerlo potrà dare un bel colpo di gas al proprio lavoro.
5. Cosa sta cercando?
Questa è la domanda delle domande. Una domanda che spesso spiazza chi la riceve. Immaginate che alla fine del vostro primo colloquio il terapeuta ve la ponga.
Voi direte: è normale, voglio stare bene! Ma cosa significa questo stare bene? Eliminare il sintomo? Fare in modo che la propria vita torni a quello che era prima che cambiasse? Lasciare tutto così com’è senza perdere nulla?
Per lo più uno va dallo psicologo perché NON vuole più qualcosa. Invece questa domanda cambia immediatamente le carte in tavola e mescola il mazzo affidando al paziente la responsabilità del suo percorso sin da subito.
Queste, ripeto, sono solo alcune delle domande che fa uno psicologo nei colloqui conoscitivi ma indubbiamente ce ne sono anche molte altre che alcuni professionisti preferiscono o con le quali si sentono più a loro agio.
Ad ogni modo non c’è bisogno di preparare un discorso per i primi colloquio, lasciate che le parole escano nella loro naturalezza.
Ci sono anche molte altre domande che i pazienti si chiedono, e noi abbiamo cercato di rispondere ad alcune di queste nei nostri articoli del blog. Per esempio, qual’è il prezzo di una seduta psicologica?
Ma vogliamo sentire di più dal dott. Andres e dunque gli abbiamo chiesto quale fosse una domanda che gli viene chiesta spesso dai suoi pazienti durante le sedute online.
Prima di proseguire a leggere, prova a pensare quale sarebbe una domanda che vorresti fare ad uno psicologo? Se per caso ne hai una, non esitare a chiedere!
Dunque, la domanda che viene chiesta spesso è…
È normale piangere dallo psicologo?
Una domanda frequente che i pazienti solitamente pongono, è se sia normale abbandonarsi al pianto durante una seduta. Potremmo dire che è quasi più normale piangere dallo psicologo che ridere.
Se ci pensiamo bene, dallo psicologo si va per affrontare un momento di particolare sofferenza, un periodo della propria vita che rende difficoltosa la quotidianità.
Si va in terapia per poter tirare fuori tutto quello che è stato accumulato e che ribolle silenziosamente in ogni soggetto.
Quindi che cosa succede?
A cosa serve piangere?
A volte è proprio il pianto che permette al soggetto di aprire il suo vaso di Pandora, di stappare una bottiglia estremamente colma permettendogli di procedere in un lavoro di svuotamento, goccia dopo goccia, lacrima dopo lacrima.
Le ricerche scientifiche, tra l’altro, hanno da tempo dimostrato come piangere spesso sia un toccasana per il corpo in quanto le lacrime che scorrono sul viso portano via le sostanze chimiche tossiche che causano un incremento dell’ormone dello stress (cortisolo) facendoci sentire più rilassati.
Inoltre, durante un pianto liberatorio, il corpo rilascia ossitocina ed endorfine, sostanze chimiche che portano un’immediata sensazione di benessere.
Allora perché ci si chiede se è normale piangere dallo psicologo? Molto spesso la ragione dietro questa domanda risiede nella vergogna di mostrare la propria fragilità davanti ad uno sconosciuto che effettivamente non sa nulla di noi, non è vicino alla nostra quotidianità, non è né un famigliare né un amico.
Eppure c’è chi va dallo psicologo esclusivamente per piangere, perché lo reputa non un posto ma il posto per eccellenza dove lasciare le proprie lacrime.
Infatti quando ci si concede il lusso di piangere in terapia significa che tutto sommato si è creata quella connessione, quel transfert, nei confronti del proprio terapeuta che in qualche modo fortifica la relazione terapeutica ed implica un significativo passo in avanti nel proprio percorso di cura.
Piangere dallo psicologo aiuta?
Quando si piange, in un certo senso, siamo nella dimensione della verità; dopo aver detto una particolare parola, aver provato una determinata emozione o addirittura dopo una domanda dello psicologo, non è raro che qualcosa si muova, che la diga venga aperta.
Succede anche nel privato di ognuno, magari durante la visione di un film strappalacrime che certe scene riescano a mettere in moto una serie di emozioni dello spettatore fino a produrre un vero e proprio pianto.
Alcuni film infatti si vedono con lo scopo esclusivo di piangere, di liberarsi di un peso sconosciuto, di pacificare una situazione di tensione o di angoscia.
Allo stesso modo si fa dallo psicologo con la differenza che l’unico film proiettato è quello della propria vita, una pellicola che va avanti e indietro e che quando incontra precisi punti spiazzano o paralizzano il soggetto.
Per concludere ribadiamo ancora una volta che piangere dallo psicologo è assolutamente normale, è salutare, è cruciale anche se ciò comporta dover attraversare quel momento in cui la sofferenza raggiunge l’apice.
Ad ogni modo il professionista saprà prendersi cura delle nostre lacrime e saprà maneggiarle con cura affinché da queste possano nascere nuovi sorrisi.
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